Art funds - Articoli
Indice
- I fondi di investimento in arte sono un problema per l'arte?
di Stefano Baia Curioni
- La storia insegna prudenza
di Brunella Bruno e Maurizio Dallocchio
- I fondi aiutano il mercante. Intervista a Christian Marinotti, Milano
di Stefano Baia Curioni
- Arte, così il capital gain viene tassato
di Giuseppe Marino
I fondi di investimento in arte sono un problema per l'arte?
di Stefano Baia Curioni
La nuova insorgenza dei fondi di investimento in arte è una risposta speculativa alla crescita dei prezzi; un innovazione istituzionale che apre e modernizza i mercati dell'arte, ma anche un evento destinato a sollevare un problema culturale che riguarda lo statuto stesso dell'arte. L'Arte è Denaro: l'Arte è Arte (ovvero: ciò che proprio NON è denaro). Il sillogismo è imperfetto e infrange il principio parmenideo di identità, ma chi lo ha praticato, negli ultimi cento anni, ha creato con pazienza, fede e spregiudicatezza, il Campo dell'Arte: quel piccolo mondo di mercanti senza mercato che protegge l'opera, le assegna valore, la vende. Le cose però, a volte, cambiano; la quantità di denaro degli ultimi anni ha dato ragione a chi ha trattato l'arte in modo più unilaterale, come un prodotto, un lusso sostituibile e senza mistero e ora in molti la pensano così. I Fondi lo fanno per statuto. Non è un fatto nuovo. Ma, talvolta, il modo di dire le cose fa il senso delle cose stesse; l'equilibrio dei toni costruisce, l'unilateralità può distruggere. Allora, chissà l'emergere dei fondi e loro il big trek verso un vero mercato dell'arte, raccontano oggi, forse con parole troppo chiare, troppo prive di ombre, la saga triste di un tempo che non sa bene cosa farsene dell'Arte. E quindi la commercia, così, almeno, rende: 46 miliardi di dollari dal 2002 al 2006.
La storia insegna prudenza
di Brunella Bruno e Maurizio Dallocchio
Pietra miliare nel campo dell'economia dell'arte è l'articolo che William Baumol, economista di Princeton, ha scritto nel 1986 per capire se investire in arte fosse una scelta razionale. La sua risposta è che il prezzo dell'arte oscilla sulla base di componenti imprevedibili e ottenere prospettive di guadagno certo è impossibile a meno che non si disponga di informazioni privilegiate (a meno cioè di non essere un insider del mercato, come un mercante o un critico di rilievo). Il giudizio senza appello di Baumol non ha distolto l'attenzione del mondo della finanza per il settore dell'arte. Oggi l'arte rientra nel novero degli investimenti cosiddetti alternativi, la sua performance è misurata da indici di mercato periodicamente confrontati con quelli dei mercati finanziari tradizionali, costituisce loggetto di operazioni finanziarie sempre più innovative. L'ultima moda sembra essere quella dei fondi di investimento specializzati in arte. Il fenomeno è comune a diversi paesi (vedi Tabella Fondi). In Italia, per esempio, risale a pochi mesi fa la costituzione di Pinacotheca, primo fondo chiuso specializzato in arte autorizzato dalla Banca d'Italia ai sensi del Testo unico della finanza. Quale la ragione di questo successo? Come veicolo di investimento, un fondo comune trova la sua giustificazione teorica nel garantire diversificazione e riduzione dei costi di transazione. Un mercato come quello dell'arte - contraddistinto da opacità, elevati costi di transazione, prezzi molto volatili - dovrebbe perciò trarre un elevato beneficio da uno strumento di questa natura: sottoscrivere una quota di un fondo che investe in arte dovrebbe risultare meno oneroso e rischioso che investire direttamente in arte. Questo nella teoria. Nella pratica, dei pochi casi di cui si ha notizia (per questa tipologia di prodotti destinata a investitori qualificati gli obblighi informativi sono minimi) gli esiti non sono stati confortanti. I casi di successo sono rari. Per esempio, è considerata tale l'esperienza del fondo pensione dei ferrovieri inglesi (British Railways Pension Fund), che per la verità ha investito in arte - dal 1974 al 1989 - solo l'1% del suo patrimonio, realizzando un rendimento reale modesto. Più numerose le esperienze non esaltanti: tra queste in Francia il BNP Paribas Fund, negli Stati Uniti il fondo newyorkese Fernwood Art Investments, in Italia Gestiarte. Dimensione limitata del patrimonio, orizzonte temporale ridotto, scarsa flessibilità nelle scelte di investimento e di disinvestimento, forma di governo inadeguata ed elevati costi di gestione sono le problematiche comunemente riscontrate nei casi di insuccesso. Un fondo comune che investe in un'attività poco liquida e molto volatile come larte dovrebbe al contrario: a) operare in un arco temporale sufficientemente ampio da consentire unintelligente pianificazione degli acquisti e delle vendite; b) essere dotato di personale specializzato e di un sistema decisionale strutturato in modo da limitare il rischio di possibili conflitti di interesse (tra mercanti e consulenti del fondo, per esempio); c) disporre di un patrimonio sufficientemente ampio da consentire un buon grado di diversificazione; d) ripartire con altri soggetti le spese di conservazione e di assicurazione delle opere, per esempio noleggiandole a musei, gallerie e partecipanti al fondo. Tra i fondi attualmente operativi è il londinese Fine Art Fund quello che più di altri sembra rispondere a questi requisiti. Particolarmente interessante appare poi il caso dell'Artist Pension Trust. Primo fondo pensione interamente dedicato agli artisti, presenta una peculiarità: i conferimenti avvengono in natura e ogni artista deve destinare al fondo un'opera d'arte lanno per vent'anni. Solo così si reputa di poter costituire un patrimonio cospicuo di opere d'arte, la cui vendita nel tempo servirà a garantire la pensione a una categoria tradizionalmente poco protetta come quella degli artisti.
I fondi aiutano il mercante. Intervista a Christian Marinotti, Milano
di Stefano Baia Curioni
Michael Moses di NYU, gestore del principale indice statunitense per i mercati dell'arte figurativa, non ha pronosticato un grande futuro per i fondi di investimento in arte. Non si tratterebbe tanto di un disinteresse di natura specificamente finanziaria. La disponibilità a considerare l'arte come uno strumento di diversificazione del portafoglio finanziario almeno in alcuni paesi (non molto, ancora, in Italia), infatti, esiste ed è consolidata. Il problema è che il rapporto che si instaura tra collezionista e opere tende ad essere orientato da valori anche ma non solo finanziari, che non giocano a favore di una posizione meramente speculativa. Ricerche da noi condotte su collezionisti europei confermano la dimensione intima affettiva, emozionale, che lega i collezionisti alle loro opere anche nei casi, frequenti, di unattenta gestione finanziaria delle attività di acquisto e di vendita. La collezione è un fatto personale, che accoglie malvolentieri l'intermediazione di managers dedicati. Per questo dice Moses i fondi per decollare dovranno vincere con un forte vento contrario.
Il fatto è che i collezionisti non sono i clienti a cui i fondi di investimento devono rivolgersi afferma Christian Marinotti, editore, collezionista, gallerista, a sua volta impegnato in advisory board di fondi di investimento in arte. I collezionisti, quelli veri e consolidati, sono già sovraesposti dal punto di vista delle allocazioni finanziarie, non chiedono i servizi di un fondo. I fondi dovrebbero avere un altro ruolo, quello di aprire il mercato verso persone o istituzioni che non sono ancora immerse nell'arte. E un lavoro simmetrico a quello dei galleristi dedicati alle sperimentazioni e al lancio di nuovi artisti: i fondi devono lavorare su artisti consolidati, con intento finanziario, per attrarre nuovi potenziali investitori che altrimenti non sarebbero su piazza.
I fondi, diversamente da quanto è accaduto nel mercato finanziario, sarebbero quindi un'innovazione dolce, che supporta galleristi o dealer, creando, per loro, nuova domanda. Non diventeranno attori centrali dellart business, piuttosto necessariamente collaboreranno con le figure centrali del settore per far si che, lentamente, questo sistema di scambi - ad oggi una rete professionale caratterizzata da forti opacità nei processi di formazione del valore - si trasformi in un autentico mercato.
Arte, così il capital gain viene tassato
di Giuseppe Marino
La tassazione subita in Italia dai Fondi d'arte dipende dal veicolo giuridico utilizzato per gli investimenti, riconducibile principalmente al fondo di tipo chiuso. La disciplina fiscale dei fondi comuni d'investimento mobiliare chiusi ricalca in larga parte quella prevista per i fondi mobiliari aperti. Le disposizioni sono contenute nellart. 11 della l. n. 344/1993, abrogata - ad eccezione del menzionato articolo 11 riguardante i profili tributari dal Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. n. 58/1998). E' quindi previsto che la tassazione dei fondi comuni sia commisurata al risultato della gestione e che trovi applicazione una imposta sostitutiva del 12,5% sul risultato maturato della gestione. La tassazione è definitiva. I proventi percepiti nell'esercizio di imprese commerciali concorrono a formare il reddito imponibile dei partecipanti e su di essi si riconosce un credito d'imposta pari al 15% dell'ammontare. Se il sottoscrittore del fondo è un soggetto non residente in Italia ma risiede in Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni, questi ha diritto al rimborso di una somma pari al 15% dei proventi erogati al netto dell'imposta sostituiva del 12,5%. Nell'ipotesi in cui le quote del fondo siano sottoscritte esclusivamente da soggetti non residenti (ma sempre residenti in Paesi che acconsentono allo scambio di informazioni) non si ha tassazione in Italia in quanto il fondo è esente. Per quanto riguarda i fondi d'arte esteri non armonizzati alle direttive europee, i proventi concorrono a formare integralmente la base imponibile del soggetto sottoscrittore residente.